Musica potabile – sterilità artistica contemporanea
Written by Francesco Sergnese on maggio 10, 2022
Non me ne voglia nessuno, questo articolo non vuole attaccare nessun artista e nessun genere musicale nello specifico. Piuttosto vuole essere una riflessione utile per stimolare la ricerca di nuove soluzioni all’interno del panorama della Pop Music italiana, che da anni ormai soffre la situazione di sterilità artistica e culturale che affligge il nostro Paese.
Sia chiaro sin dal principio: in Italia vantiamo una serie di artisti e realtà musicali di altissimo spessore, sia nel mainstream che nell’underground, con profili di calibro internazionale. Il problema è che non gli diamo il giusto spazio nella narrazione culturale che facciamo nel nostro Paese.
In ambito musicale, siamo soliti collocare fenomeni prettamente di costume all’interno della sfera culturale, dando ampio spazio e risalto ad aspetti e concetti che con la musica hanno poco a che fare. Questo porta a valutare il fattore artistico di una specifica espressione attraverso dei criteri che sono più attinenti al mondo dell’intrattenimento che al mondo dell’arte, portando all’attenzione delle masse spesso dei nomi che hanno da dire poco o niente di concreto e che, sopratutto, non aggiungono nulla all’offerta già satura di musica potabile che abbiamo nel nostro Paese.
Con musica potabile intendo musica pop povera di contenuti musicali ed artistici di una certa densità, altamente digeribile e facilmente tollerabile da un orecchio poco allenato. Roba che non ti faccia agitare troppo, mica che poi ti fai male. Insomma, materiale poco stimolante.
Ho come l’impressione che, in questo preciso momento storico, ci siano pochi artisti in Italia capaci di farsi carico della responsabilità di portare avanti delle battaglie o di lanciare dei messaggi di un certo spessore attraverso la propria musica. Non fraintendetemi, ce ne sono tanti che parlano, dicono e lanciano iniziative positive, ma io parlo proprio di musica, di concetto artistico.
Sembra quasi che nel dibattito culturale contemporaneo ci si accontenti di ripetere sempre lo stesso concetto, di parlarsi sopra dicendo la stessa cosa, di fossilizzarsi sulle stesse convinzioni già confermate o confutate e di perdersi in infiniti e ripetitivi discorsi su dettagli inutili. Sembra quasi politica, altro che arte.
La proposta offerta dalla maggioranza degli artisti, si muove all’interno di un recinto veramente stretto: la ricerca creativa si è piegata completamente alle regole del mercato, invece che sfruttarne i meccanismi per andare oltre i cliché che ormai abbiamo marcato e rimarcato. L’offerta musicale si è plasmata sui dettami imposti da poche etichette e gli artisti continuano ad alzare la testa solo per vedere cosa fanno Tizio e Caio all’estero per riproporne la brutta copia. Il pubblico, messo nell’impossibilità di scegliere dagli algoritmi dello streaming e dal tartassamento monotonale delle radio mainstream, appunto non sceglie e continua a ordinare lo stesso piatto all’infinito.
Ed è così che siamo finiti in un’epoca di sterilità artistica, dove al musicista viene richiesto esclusivamente di intrattenere il pubblico e nulla più. Non una parola di troppo, non un gesto inconsulto, non uno sguardo stralunato. Chi ci prova viene subito sommerso dalle urlanti voci sui social network che lo tacciano subito di pesantezza. Al massimo c’è qualcuno che se la cava con qualche citazione da aforismi.it ed una retorica da pubblicità della Mulino Bianco.
Capiamoci, è una mia impressione, sarei ben felice di essere smentito. Però sono dell’idea che nel nostro panorama musicale, già stretto di per sé, si ricavi troppo poco spazio per dare risalto ad una serie di artisti e progetti musicali che porterebbero valore nell’ambiente musicale e culturale moderno. Musicisti, compositori, cantautori e produttori che dovremmo invitare in prima serata per presentare i loro dischi o semplicemente per intervistarli; a cui dovremmo permettere di esibirsi in contesti in cui il loro messaggio possa arrivare alle masse ed ispirare gli individui.
E per carità, non dico che si debba ascoltare esclusivamente musica pesante e complessa. Ognuno ha i propri gusti sacrosanti e non c’è un genere migliore di un altro, non è questo il discorso. Semplicemente penso che sarebbe molto meglio che nella nostra musica potabile ci fosse giusto un po’ calcare, piuttosto che tutto il cloro che utilizziamo per sterilizzarla (parafrasando le parole della nostra amica Laura Anchisi in Orticultura, ultimo podcast di mamma NeverWas Radio :P).
Meno pose e più concretezza. Voglio tornare a vedere dei musicisti che suonano i loro strumenti, che siano una chitarra, un synth, un launchpad o un computer. Ma che li suonino per davvero, non che se li mettano addosso per essere qualcuno. Che sia rock, pop, trap, techno o jazz non importa, più sono e meglio è, però che si faccia con un po’ più di sentimento, per un fine che non si esaurisca semplicemente in se stesso.
Che poi, tra l’altro, gli artisti buoni li abbiamo già, bisogna solo creare il contesto giusto per permettergli di esprimere al meglio il loro potenziale. Bisogna parlarne, intervistarli, ascoltare, comprare e condividere la loro musica, andare ai loro concerti, partecipare attivamente al loro percorso artistico. Bisogna anche organizzarsi per attivare una serie di meccanismi politici e burocratici che permettano a tutti questi artisti di essere tutelati e valorizzati.
Partiamo, nel nostro piccolo, da qui: chi sta leggendo questo articolo (sempre che qualcuno lo abbia letto fino a qui), se ha voglia, lo commenti con il link al sito/Bandcamp/YouTube/Spotify/altro di un artista italiano che ritiene possa essere considerato un valore per il panorama musicale odierno.
Aiutateci a contribuire alla creazione di uno spazio culturale positivo, dove l’acqua venga considerata come un bene primario di sostentamento e non solamente una bevanda da alternare alla Coca Cola.