Ricordando la figura religiosa e umana di Papa Giovanni Paolo I e raccontando la sua vita e la sua controversa morte, Bistory questa volta si sofferma su un’istituzione millenaria, la Chiesa Romana, che ha modificato nei secoli la Storia, come purtroppo non ha potuto fare Albino Luciani, defunto dopo appena una manciata di giorni sul soglio di Pietro in un anno fatidico come il 1978. Luciani, lontanissimo dalla ieraticità e dalla magniloquenza dei suoi predecessori, tentò o forse meglio prefigurò, nel brevissimo tempo concessogli dal destino, un cambiamento nella visione che il più importante leader religioso del mondo ha di sé stesso e che il mondo ha di lui, Vicario di Cristo che da Roma guida i cattolici di tutto il pianeta.
La figura papale ha subìto delle modificazioni enormi nella storia e forse più che mai nella modernità, se si pensa che solo poco più di 150 anni fa il papa era un principe italiano, sovrano di un piccolo stato che andava dalla Romagna alle porte della Campania, immerso negli intrighi politici locali e solo tangenzialmente il capo riconosciuto di milioni e milioni di cattolici nel mondo. E prima ancora era stato nel medioevo asseveratore e antagonista di imperatori, per diventare nel Rinascimento dominus della politica e della cultura europea, per poi sparire sempre più dal contesto internazionale in una specie di oblio, culminato con una riduzione alla mediocrità nel Settecento. La sfera religiosa non è mai mancata, ma sono negli ultimi cento anni, gli anni della comunicazione globale, “urbi et orbi”, e della perdita di ogni sovranità politica e territoriale reale, Il papato è tornato protagonista nel mondo. La voce del Vescovo di Roma conta più di potenti cancellerie con enormi eserciti parcheggiati e pronti a colpire, più di economie sviluppate e aggressive. Questo si deve ad una duplicazione del profilo carismatico del pontefice, che rimane un prete, che indica la via cristiana morale ed etica a chi la vuole seguire, ma soprattutto che è una specie di sovrano della misericordia, di ONU dell’intervento pacificatore, talvolta con più effetto dell’ONU stessa.
Giovanni Paolo I avrebbe perseguito, se il tempo glielo avesse concesso, una splendida sintesi di questi due aspetti, come peraltro hanno fatto, con molte differenze tra l’uno e l’altro, i suoi successori. L’attuale pontefice Francesco si tiene in equilibrio tra una decisa propensione alla visione morale (qualche volta moraleggiante) parlando di vita quotidiana, velenosità delle maldicenze, bontà di cuore e una necessaria visione internazionale, una via forse da lui troppo poco percorsa e che potrebbe dare grandi frutti, come ha dimostrato il recente viaggio in Iraq. Una ambivalenza di ruolo che negli aspetti morali ha ormai scarsa incidenza, in un mondo decisamente secolare, sulle società moderne. Si veda la posizione sulle unioni omosessuali, ormai accettate e consacrate civilmente “urbi et orbi”, ma osteggiate con inutile ed inefficace pervicacia da Roma. Il messaggio di Cristo, Dio per qualcuno, uno dei massimi filosofi del pensiero per chi non crede, merita forse un’audacia maggiore: parlare agli ultimi per fare in modo che gli altri si accorgano della loro esistenza, portare testimonianza di luoghi e popolazioni di cui il resto del mondo si dimentica, conciliare posizioni grazie alla statura morale. Fare invece morale spiccia, dare consigli da catechismo elementare o da curato di campagna, può essere una tecnica comunicativa, ma raramente diventa un contenuto efficace. Su questo Giovanni Paolo I fu maestro: un modo di comunicare semplice, vicino agli ultimi, che in soli 33 giorni fece sobbalzare per la sua incisività e originalità gli alti prelati della Curia Romana, ma che agiva per una grande rivoluzione nei fatti, per cambiare il Vaticano e renderlo pronto alle sfide della modernità, senza ipocrisia e verso un processo di adesione alla società moderna che purtroppo, quasi cinquant’anni dopo, fatica a compiersi.